La giustizia: contenuti, simboli manifestazioni e volti (PARTE PRIMA)

 

                                                            Tribunale di Milano Particolare Facciata


La giustizia: contenuti, simboli manifestazioni e volti.[1]

 

La civiltà Romana ha creato il diritto (lo ius) come scienza autonoma: un vero e proprio sapere fondato su definizioni e principi, regole, connessioni e conseguenze oggetto di studio e di applicazioni da parte di specialisti..appunto giuristi(avvocati e giudici).

E le definizioni del diritto romano ancora sono valide: 

"La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. 


Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente (honeste vivere), non recare danno ad altri (alterum non laedere), attribuire a ciascuno il suo (suum cuique tribuere) ". [2]

 

L’idea della Giustizia e l’aspirazione ad essa accompagna l’uomo sin dalle origini. 

La Giustizia somma e piena è propria del trascendente: la Giustizia vera è quella di Dio.  E la Giustizia divina è termine di riferimento per la realizzazione di quella terrena. 


La Giustizia diviene valore di orientamento, di ricerca e di realizzazione, ma anche ideale di speranza ed aspirazione laddove ne venga percepita l’assenza.[3]


La Giustizia è esperienza umana fondante la persona e le relazioni personali e sociali.  

Ed anche se “Oggi la giustizia è intesa spesso come equità nello scambio sociale, non invece come rettitudine interiore dell’uomo, come virtù”[4] la giustizia come  virtù umana è  fondamentale e da sempre individuata come cardine di una vita dedicata al bene e che rende retto e virtuoso l’uomo.[5]  

 

“La giustizia è la virtù che si esprime nell’impegno di riconoscere e rispettare il diritto di ognuno dandogli ciò che gli spetta secondo la ragione e la legge. Per questo il tema della giustizia è vasto come il mondo: tocca tutti i rapporti interpersonali e anche tutti i problemi della vita collettiva e delle relazioni internazionali.”[6]

 

La giustizia è quindi fonte e - al contempo - metro di valutazione dei comportamenti umani  in rapporto alla propria coscienza ed ai propri principi etici e morali,  nelle relazioni tra persone; ed anche dei comportamenti dei governanti verso i cittadini: “Amate la giustizia voi che governate la Terra” è la scritta che compongono le anime dei giusti nel XVIII canto del Paradiso che dà l’avvio al libro biblico della Sapienza (1,1).   

La Giustizia è assimilata alla legge ma al contempo se ne distingue diventandone termine di ispirazione, di  riferimento e di comparazione: anche le leggi sono valutate giuste o ingiuste.

E l’applicazione della legge da parte dei giudici è ispirata ai valori di Giustizia che la permeano:  Giustizia è invocata dalle parti in conflitto o da chi ha subito un’“ingiustizia”, e giusta ed ingiusta viene valutata anche l’opera dei giudici che applicano la legge. 

 

Già i tratti caratteristici - da un lato la concretezza del diritto e delle sentenze e dall’altro l’idealità della giustizia - rendono lo scarto e la diversità ma ne segnano anche la inevitabile contiguità e reciprocità.[7]

 

E nonostante la fondamentale rilevanza la plurima e variegata significanza ed applicazione, “manca una definizione riconosciuta di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto. L’intera storia dell’umanità è una lotta per affermare concezioni della giustizia diverse e perfino antitetiche, “vere” solo per coloro che le professano. Per lo più si è venuti a questo: che giusto è ciò che corrisponde alla propria visione della vita in società (la giustizia, si dice, sta necessariamente in una relazione sociale), ingiusto ciò che la contraddice. Così però la giustizia rinuncia alla sua autonomia e si perde negli ideali o nelle ideologie o nelle utopie. Si riduce a un artificio retorico per valorizzare questa o quella visione politica: la giustizia proletaria, la giustizia etnica, o volskisch del nazismo, la giustizia borghese ecc ciascuna presentata come giustizia autentica, alternativa alle altrui contraffazione della giustizia…Dietro l’appello ai valori più elevati ed universali è facile che si celi la più spietata lotta per il potere il più materiale degli interessi. Quanto più puri e sublimi sono quei valori tanto più terribili sono gli eccessi che giustificano”[8] .

 

Tant’è che il più antico principio di giustizia suindicato del Digesto, attribuito ad Ulpiano unicuique suum  a ciascuno il suo “è una scatola vuota ed essendo vuota ognuno di noi la può riempire come gli pare”.[9] : proprio “j_e_d_e_m_ _d_a_s_ _s_e_i_n_e_” _ossia “a_ _c_i_a_s_c_u_n_o_ _i_l_ _s_u_o_” _era la scritta posta sull’ingresso del lager di Buchenwald!! 


La giustizia, pertanto, reca il rischio di strumentalizzazioni, di essere trasformata in ideologia o strumento del potere ed il diritto - da essa staccato – a  specchio delle idee dominanti.

 

Ed il potere ed il suo esercizio difettoso o privo di riferimenti morali ed etici arriva a deturpare il volto della giustizia e del diritto!! 

 

“Non esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e svantaggi. Lo spostamento della ragione morale ha per conseguenza che il diritto non può riferirsi a una concezione fondamentale di giustizia, ma piuttosto diventa uno specchio delle idee dominanti. Entriamo qui in una degenerazione: un andare “livellando verso il basso” mediante un consenso superficiale e compromissorio. Così, in definitiva, la logica della forza trionfa.”[10] 


E quindi  “Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformateper utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione.”[11]


Ed il rischio è quanto mai attuale.                                    



Pasquale avv.Lattari

 



[1] Il titolo - riassume i contenuti di  diversi incontri e seminari recenti – verrà sviluppato in diverse e successive parti.  Per i riferimenti bibliografici  oltre a quelli citati in P.Lattari La giustizia riparativa Una giustizia umanistica e dell’incontro Milano 2021 il recente G Zagrebelsky La giustizia come professione Torino 2021 pg 57 

[2] Digesto 1.1.10pr “Chi sta per dedicarsi al diritto, in primo luogo occorre che conosca da dove derivi il nome del diritto (ius). Orbene, il diritto è chiamato con tale nome poiché deriva dalla giustizia: infatti, come Celso definisce con eleganza, il diritto è l’arte del buono e dell’equo (ars boni et aequi). 

Qualcuno, meritatamente, potrebbe chiamarci sacerdoti del diritto: infatti coltiviamo la giustizia e professiamo la conoscenza del buono e dell’equo (bonum et aequum), separando l’equo dall’iniquo, discernendo il lecito dall’illecito, desiderando rendere buoni gli uomini non solo col timore delle pene ma anche con l’esortazione dei premi: aspirando, se non mi sbaglio, alla vera, non ad un’apparente filosofia. Digesto 1.1.1 

[3] “Quando non v’è giudice sulla terra, non rimane che l’appello a Dio nel cielo”. Locke, Due trattati sul governo, a cura di L. Pareyson, Utet  2010 pg 243 che richiama la figura di Jefte del libro dei giudizi cap.11.

[4] C. M. Martini sulla Giustizia Milano 1999 pg. 15Pg. 23

[5] Catechismo chiesa Cattolica n.1805 “Quattro virtù hanno funzione di «cardine». Per questo sono dette « cardinali »; tutte le altre si raggruppano attorno ad esse. Sono: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. 

« Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza » (Sap 8,7). Sotto altri nomi, queste virtù sono lodate in molti passi della Scrittura. 

Catechismo chiesa Cattolica n.1807  "La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata « virtù di religione ». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune.”

[6] C. M. Martini sulla Giustizia Milano 1999 pg. 15 

[7] Sin dagli albori della civiltà la giustizia è sempre stata distinta dal diritto: sin dalla Grecia dike/giustizia è presso Zeus ed invece il nomos/diritto è presso gli uomini, passando per il pensiero ebraico/cristiano (vd Salmo 84 11-12 …la verità germoglierà sulla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo, Salmo 32 5 Egli ama la giustizia ed il diritto, Matteo 5,1 5,6 se la vs giustizia non supererà quella di scribi e farisei non entrerete nel regno dei cieli; beati coloro che hanno fame e sete della giustizia) giungendo sino ai nostri giorni. E tuttavia il rapporto di contiguità è anche sempre stato presente: “Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (Amos 5,24).  

[8] G. Zagrebelsky Le cattedra dei non credenti cit. pg 1160.

[9] G. Zagrebelsky La virtù del dubbio Bari 2007 pg 46. 

[10] Papa Francesco Fratelli tutti. N 210. 

[11] Papa Francesco Fratelli tutti. N 14.

UN’ESPERIENZA DI GIUSTIZIA RIPARATIVA SOCIALE e di COMUNITA’

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UN’ESPERIENZA DI GIUSTIZIA RIPARATIVA SOCIALE e di COMUNITA’ 

Il giorno 18 giugno 2021 ad Aprilia (LT) presso la  sala del Consiliare del Comune  verrà sottoscritto il protocollo per la realizzazione del progetto: (0) 


“UN’ESPERIENZA DI GIUSTIZIA RIPARATIVA SOCIALE e di COMUNITA’”

Proponente è 

Il Consultorio familiare “Crescere Insieme” della Diocesi  di Latina-Terracina-Sezze Priverno – gestito dall’Associazione per la famiglia ONLUS – che pratica da anni[1] percorsi di GIUSTIZIA RIPARATIVA in collaborazione con l’Ufficio Locale Esecuzione Penale Esterna di Roma e di Latina e con l’Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni di Roma sede distaccata  di Latina articolazioni del  Ministero della Giustizia – Dipartimento giustizia Minorile e di comunità   

 

in collaborazione con 

- Ministero della Giustizia Dipartimento giustizia Minorile e di Comunità 

nelle articolazioni locali dell' Ufficio Locale di Esecuzione penale Esterno di Roma e Latina (ULEPE) e dell'Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni di Roma sede distaccata di Latina (USSM)


con la partecipazione 

Comune di Aprilia,  Ministero della Giustizia Centro per la giustizia minorile, e ULEPE Latina, Parrocchia S.Spirito di Aprilia,   il Consultorio familiare Diocesano di Aprilia  Centro Famiglia e Vita, il Comitato di quartiere Toscanini Aprilia, l’istituto d’Istruzione Superiore Rosselli  di Aprilia ed diversi docenti dello stesso.


Articolato è stato l'iter ma il punto di arrivo costituito dalla sottoscrizione del protocollo - di partenza per le attività concrete!! - ha come punto fondante la condivisione della cultura e della filosofia della giustizia riparativa quale strumento duttile applicabile ed efficace ai conflitti sociali - presenti o che possono generarsi - all’interno di una comunità riguardanti  ambiti territoriali o situazioni ambientali che rendono difficili le relazioni personali o sociali della persona.


La giustizia riparativa nelle sue finalità migliori applicata all’ambito sociale valorizza la responsabilità dei soggetti coinvolti, la generazione di partecipazione diretta, libera e volontaria delle persone  e la ricomposizione  e riparazione del conflitto e delle relazioni sociali e genera così il senso di sicurezza collettivo. 

Sono state individuate delle  CONFLITTUALITA’ sociali e di comunità  concrete individuate nel territorio del Comune di Aprilia:  

-conflitto sociale e di comunità  “strutturale”:  gli spazi pubblici di una parte del territorio comunale non sono vissuti e fruiti adeguatamente e la socialità e la relazionalità sociale sono insufficienti, anzi disfuzionali, e fonte di disagio sociale

- conflitto sociale e di comunità  “relazionale”: inadeguata comunicazione e dialogo,  insufficiente coordinamento tra persone, associazioni ed istituzioni – tutti a vario titolo impegnati  in molteplici e plurimi interventi per il quartiere – e le persone del quartiere.

 

E' dato evidenziare  la concretezza del progetto per una specifica situazione di conflittualità sociale e di comunità (nel comune di Aprilia) e  la partecipazione diretta di persone sottoposte a procedimenti penali e in carico ai Servizi  sociali del Dipartimento Giustizia  Minorile di Comunità, ULEPE E USSM,    ed impegnate  in lavori di pubblica utilità o in attività socialmente utili.


Per affrontare tali conflittualità tutte le parti sociali - pubbliche, privato sociale e cittadini -  sono in gioco in ragione della precipua funzione. 


Il progetto originale e peculiare  - da notare che ad evidenziare  e valorizzare ciò interviene la stessa Dirigente del Centro per la Giustizia minorile del Ministero della Giustizia d.ssa Trisi - prevede tra l'altro: 

 

- la costituzione di  un tavolo riparativo  – con incontri periodi – per attivare idonea comunicazione, confronto, dialogo, monitoraggio tra le parti interessate ad intervenire nella conflittualità sociale con  verifica andamento, adeguamento e  controllo del progetto e, soprattutto,   per tutte le iniziative ulteriori,  che tale progetto intende attivare come metodo di comunicazione confronto e coinvolgimento   per il quartiere interessato

- il centro del  quartiere ed il parco in particolare verrà curato  dalle persone  in messa alla prova o sottoposte a misure penali di comunità    – che ivi svolgeranno i lavori di pubblica utilità o socialmente utili ed in carico all’USSM e/o ULEPE  

nella casetta al centro del parco e del quartiere si svolgeranno incontri di mediazione penale  ed incontri pubblici (convegni iniziative sensilizzazione) 

- tutte le parti avvieranno iniziative di sensibilizzazione e diffusione della cultura della giustizia riparativa e gestione dei conflitti ed attivano la divulgazione e promozione del progetto 

- la scuola coinvolta si attiverà affinché a) si organizzino attività di sensibilizzazione alla  giustizia riparativa e gestione dei conflitti intrascolastici (bullismo e cyberbullismo etc..) ad opera dell’Ufficio di mediazione; b) si coinvolgano i referenti delle aree strumentali (bullismo e cyberbullismo, legalità etc.) per la diffusione progetto b) si scelgano i luoghi e le attività del progetto per le  attività extracurriculare dei ragazzi nei luoghi in questione e per le attività socialmente utili da prevedere  nelle sanzioni disciplinari per gli studenti destinatari delle stese;  d) si sensibilizzino i ragazzi a partecipare ad attività di volontariato e di presenza sui luoghi a disposizione per attività varie ed eleggano le stesse in tali luoghi; in particolare e nello specifico curano le attività e la promozione del volontaria nei progetti destinati ai propri studenti. 

- la sensibilizzazione e l'estensione  del progetto all’adesione e partecipazione di altre associazioni, enti, istituzioni.


Va evidenziato che il progetto non comporta alcun impegno di spesa per i sottoscrittori (si impegnano a presentare progetti e/o a partecipare a bandi per il finanziamento delle attività riparative del presente progetto  e/o a destinare risorse per la sua attuazione e/o implementazione) e soprattutto è aperto all'adesione e partecipazione di enti e persone che intendono impegnarvisi.


Il progetto intende continuare l'attività di "semina" della GIUSTIZIA RIPARATIVA che ha necessità essere conosciuta e divulgata affinché possano apprezzarsi sempre più i suoi frutti ed i suoi benefici.


Pasquale Lattari



[1] - dal 2006 è sede dell’ufficio "In mediazione..di conciliazione e riparazione in ambito minorile della Provincia di Latina" istituito con protocollo di intesa con il Ministero della Giustizia - Dipartimento giustizia Minorile CGM di Roma, Provincia di Latina e Comune di Latina del 2006. Da tale anno effettua la mediazione penale minorile - primo nel Lazio -  per tutti i casi inviati dal Tribunale per i Minorenni, in collaborazione con l’USSM sede Latina, della provincia di Latina

-  dal 2017 è sede dell’ “Ufficio di mediazione penale e giustizia riparativa di Latina” per adulti ex lege 67 del 2014 istituito con un protocollo d’intesa con il Tribunale di Latina e l’UEPE di Latina  Ministero della Giustizia.  Nel 2018, 2019 e 2020  si è resa affidataria per tre annualità consecutive – dal 2019 al 2021 -  progetto “percorsi di mediazione penale” del Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità del  Ministero Giustizia ed effettua la mediazione penale prevista nel procedimento di messa alla prova ex lege 67/2014  per gli invii ricevuti dall’UEPE di Latina

- gestisce  il “Centro di giustizia riparativa e mediazione penale minorile della Regione Lazio” che effettua la mediazione penale per tutti i casi del Tribunale per i Minorenni di Roma e riguardante quindi l’intero territorio regionale.  L’esperienza pluriennale acquisita nella giustizia riparativa ha consentito all’Associazione per la famiglia Onlus di essere  capofila – di un ATS  (associazione temporanea di scopo) - di cui fanno parte anche in medias res, ismes e istituto don calabria - che si è resa assegnataria e gestirà  il servizio.  L’attività e la specificità nella giustizia riparativa si è orientata anche in altri ambiti di conflittualità (familiare, scolastico, sociale) 

Le parole dei giudici sulla donna – che assolvono gli imputati in reato di stupro - possono costituire vittimizzazione secondaria.

                                            


                                                                                                          Prudenza e Giustizia -  Pietro Perugino -  Sala delle Udienze del Collegio del Cambio -  Perugia 

Le parole dei giudici sulla donna – che assolvono gli imputati in reato di stupro - possono costituire vittimizzazione secondaria.

Una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo condanna l’Italia per i pregiudizi sul ruolo della donna veicolate dalle parole dei giudici che assolvevano gli imputati in processo per stupro. E la sentenza è stata commentata da siti specialistici.[1]

Gli imputati in primo grado condannati per stupro sono poi assolti in appello. Sentenza diviene definitiva per mancato ricorso in cassazione.

La vittima aveva ricorso a Strasburgo per violazione art. 8  della Convenzione europea dei diritti umani, che prevede che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia (Sent., 27 maggio 2021, causa J.L. c. Italia, ric. 5671/16)!! 

“In particolare, le autorità nazionali non avevano protetto la ricorrente dalla c.d. vittimizzazione secondaria durante l'intero procedimento penale, in cui il contenuto della sentenza ha svolto un ruolo molto importante, soprattutto in considerazione del suo carattere pubblico.

Non solo, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto ingiustificati i commenti riguardanti la bisessualità della ricorrente, le sue relazioni e i rapporti sessuali occasionali precedenti agli eventi contestati. Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte di secondo grado, infatti, trasmettevano pregiudizi esistenti nella società italiana riguardo al ruolo delle donne ed erano verosimilmente un ostacolo a fornire una protezione efficace per i diritti delle vittime di violenza di genere, nonostante un quadro legislativo soddisfacente.[2]

«Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’Appello di Firenze veicolano il pregiudizio sul ruolo della donna come si presenta nella società italiana e che è idoneo ad ostacolare una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere a dispetto di una quadro legislativo soddisfacente»

La Corte europea afferma: «le autorità giudiziarie evitino di riprodurre gli stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare le violenze contro il genere e di esporre le donne ad una vittimizzazione secondaria utilizzando delle affermazioni colpevolizzanti e moralizzanti idonee a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia» 

“La Corte si è permessa di annotare, in conclusione, come il VII rapporto periodico (2017) sull’Italia del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW) e il rapporto (2020) del GREVIO (Gruppo Esperte sulla Violenza del Consiglio d’Europa) per il monitoraggio dell’applicazione della Convenzione di Istanbul, abbiano constatato la persistenza di stereotipi concernenti il ruolo delle donne e la resistenza della società italiana verso una reale eguaglianza tra i sessi. 

Entrambi i rapporti hanno sottolineato la scarsa percentuale di processi e di condanne per violenze nei confronti delle donne: ciò dimostra una scarsa fiducia da parte delle vittime verso il sistema di giustizia penale.” [3]

“Una sentenza importantissima, quella emessa stamattina dalla Corte europea dei diritti umani, perché stigmatizza la delegittimazione delle vittime di stupro, ritenute corresponsabili delle violenze subite in base a valutazioni legate alla loro vita privata che continuano a essere usate per motivare sentenze condiscendenti verso gli autori delle violenze, nonostante ciò sia vietato da nome interne e internazionali, a cominciare dalla Direttiva dell’Unione europea sulla protezione delle vittime di reato, dalla CEDAW e dalla Convenzione di Istanbul”.

Ad affermarlo Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, in merito al ricorso alla CEDU presentato dalle avvocate Sara Menichetti e Titti Carrano di D.i.Re contro la decisione della Corte d’appello di Firenze che aveva ribaltato la sentenza di condanna degli imputati dello stupro di gruppo ai danni di una giovane donna, sulla base della presunta non credibilità della vittima a causa di una valutazione moralistica della sua vita privata….

Da tempo denunciamo il rischio di vittimizzazione secondaria nei tribunali e le sue nefaste conseguenze. La magistratura italiana deve evitare di usare strumenti che colpevolizzano le donne e rispettare le convenzioni internazionali a tutela delle donne che subiscono di violenza, conclude la presidente di D.i.Re.”[4]

“Sul punto, la Corte EDU ha ribadito che il processo penale e le relative sanzioni svolgono un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza nei confronti delle donne e nella lotta alla disuguaglianza di genere. È quindi essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi di genere nei loro provvedimenti, minimizzando la violenza di genere ed esponendo le donne a una vittimizzazione secondaria, anche attraverso un linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario.

Una sentenza che suona come uno schiaffo doloroso al sistema paese, e che tuttavia sembra quanto mai necessario, posto che ancora oggi è prassi, tanto comune quanto ignobile, quella di impostare il processo per stupro come un processo contro le donne, in un tentativo maldestro di sviare strategicamente l’attenzione del collegio giudicante dall’imputato alla vittima.

Fa specie dover constatare che ad oltre 40 anni dalle parole di condanna di questa prassi pronunciate dall’Avvocata Tina Lagostena Bassi, nel celebre processo per stupro del 1979 (trasmesso allora anche dalla RAI), il nostro paese si trovi ancor oggi sovente in una condizione incredibilmente comparabile a quella denunciata con vis – per i tempi – rivoluzionaria dalla compianta Collega.

Parole che ancor oggi riecheggiano nelle nostre menti e che sembrano un triste commento alla recente sentenza di Strasburgo:  

“E questa è una prassi costante: il processo alla donna, la vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. [..] Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa.”.[5]

Che dire?!? 

Le vittime – specie di violenza -  hanno diritti ed aspettative di giustizia che  comprendono i bisogni di cura, di ascolto, di accoglienza e di rispetto comunque ed  a prescindere dall’esito del giudizio e dal ruolo dell’operatore di giustizia. 

E la giustizia è tale se è  prudente (vd immagine).. anche nelle espressioni!! 

Pasquale avv.Lattari

 

 

                                 

LA CORTE COSTITUZIONALE:  FAMIGLIA, CONVIVENZA ..RELAZIONI AFFETTIVE…SONO CONCETTI NON INDIFFERENTI AI FINI DELLA LEGGE PENALE


I concetti di famiglia e di convivenza sono distinti dalla relazione affettiva e non sono analoghe…anche e specie ai fini penali.


In  un processo per  atti persecutori (il cosiddetto stalking)(612 bis cp) per una serie di condotte abusive compiute nei confronti di una donna con cui l’imputato intratteneva da qualche mese una relazione affettiva, e che frequentava abitualmente la sua casa familiare, il giudice prospettava  riqualificazione dei fatti contestati all’imputato nel più grave reato  di maltrattamenti in famiglia.(572 cp). Ciò sulla base di un orientamento della Corte di Cassazione che considera integrato questo reato in presenza di condotte maltrattanti compiute in un “contesto affettivo protetto”, caratterizzato da “legami forti e stabili tra i partner” e dalla “condivisione di progetti di vita”.


In un giudizio recentissimo della Consulta (a cui il proc.to era giunto  per questioni processuali..ossia possibilità di chiedere il rito abbreviato..…_) concluso con sentenza n. 98 del 2021  pubblicata il 14 maggio 2021 (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2021:98) si afferma tra l’altro che: 


- il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone, per quanto qui rileva, che le condotte abusive siano compiute nei confronti di una persona della stessa “famiglia”, oppure di una persona “convivente”; e che, invece, il reato di atti persecutori aggravati prevede che le condotte vengano compiute nei confronti di persona che sia o sia stata legata all’autore da una “relazione affettiva”. 

-“ la stabilità della relazione affettiva in un «contesto affettivo protetto», caratterizzato da «legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso per colui che patisce i maltrattamenti sottrarsi ad essi e particolarmente agevole per colui che li perpetua proseguire» sembrerebbe essere il discrimen tra le due situazioni di fatto che attivano le diverse conseguenze giuridiche e… tuttavia “una recente sentenza della Corte di cassazione – invero successiva all’ordinanza di rimessione – ha escluso il delitto di maltrattamenti in famiglia in un’ipotesi assai simile a quella oggetto del processo a quo, caratterizzata da una relazione «instaurata da non molto tempo» e da una “coabitazione” consistita soltanto «nella permanenza anche per due o tre giorni consecutivi nella casa dell’uomo, ove la donna si recava, talvolta anche con la propria figlia» (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 23 novembre 2020-25 gennaio 2021, n. 2911).

-“ La giurisprudenza di legittimità, considerata alla luce dei casi di volta di volta esaminati, fornisce dunque indicazioni assai meno univoche di quanto appaia dall’ordinanza di rimessione circa la possibilità di sussumere entro la figura legale descritta dall’art. 572 cod. pen., e non in quella di cui all’art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., condotte abusive poste in essere nel contesto di una relazione affettiva con le caratteristiche illustrate nell’ordinanza di rimessione, ove si dà atto in particolare dell’assenza di convivenza (presente o passata) tra i due protagonisti della vicenda.”

-E’ quindi fondamentale l’inquadramento giuridico perché - a fronte di una relazione affettiva durata qualche mese e caratterizzata da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro - la vittima potesse essere considerata, alla stregua del linguaggio comune, come persona già appartenente alla medesima “famiglia” dell’imputato, ovvero con lui “convivente”. (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20210514132323.pdf)

 

-“E dunque, il pur comprensibile intento, sotteso all’indirizzo giurisprudenziale cui il rimettente aderisce, di assicurare una più intensa tutela penale a persone particolarmente vulnerabili, vittime di condotte abusive nell’ambito di rapporti affettivi dai quali esse hanno difficoltà a sottrarsi, deve necessariamente misurarsi con l’interrogativo se il risultato di una siffatta interpretazione teleologica sia compatibile con i significati letterali dei requisiti alternativi «persona della famiglia» e «persona comunque […] convivente» con l’autore del reato; requisiti che circoscrivono – per quanto qui rileva – l’ambito delle relazioni nelle quali le condotte debbono avere luogo, per poter essere considerate penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 572 cod. pen.”

-“.. ai fini della “qualificazione giuridica dei fatti accertati in giudizio il rimettente omette di confrontarsi con il canone ermeneutico rappresentato, in materia di diritto penale, dal divieto di analogia a sfavore del reo: canone affermato a livello di fonti primarie dall’art. 14 delle Preleggi nonché – implicitamente – dall’art. 1 cod. pen., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. (nullum crimen, nulla poena sine lege stricta) (sentenza n. 447 del 1998).”

“Il divieto impedisce – ha proseguito la Consulta – di riferire la norma a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei significati letterali delle espressioni utilizzate dal legislatore. “ (vd comunicato Consulta)

Ed il giudice non può applicare analogicamente  la legge penale in situazioni non riconducibili al significato letterale delle espressioni usate dal legislatore 

“Ciò a garanzia sia del principio della separazione dei poteri, che assegna al legislatore – e non al giudice – l'individuazione dei confini delle figure di reato; sia della prevedibilità per il cittadino dell’applicazione della legge penale, che sarebbe frustrata laddove al giudice fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello desumibile dalla sua immediata lettura.”


 Per altro verso, il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici da parte del giudice costituisce l’ovvio pendant dell’imperativo costituzionale, rivolto al legislatore, di «formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intellegibilità dei termini impiegati» (sentenza n. 96 del 1981).”

 

E su questo ce n’è da dire!!

Pasquale avv.Lattari



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Le persone sottoposte al procedimento di messa alla prova: metodologie e tecniche tra lavoro di pubblica utilità e mediazione penale.
- webinar formativi -

nei tre eventi - del 10, 17 e 24 maggio 2021 -  organizzati dall'Ufficio di esecuzione penale esterna di Latina in collaborazione con il Comune di Aprilia, con  l'Ufficio di Mediazione e Giustizia riparativa  di Latina, con  il CSV(centro di servizio per il volontariato) Lazio e con l'Associazione Familiari Vittime della Strada si trattano gli argomenti collegati al procedimento di messa alla prova (ex legge 67 del 2014).
Gli eventi hanno ricevuto il riconoscimento da parte di ordini professionali (avvocati ed assistenti sociali) per i crediti formativi. 


La Giustizia riparativa è il tema di fondo degli incontri formativi.

 L'Ufficio di mediazione penale e giustizia riparativa di Latina - oltre all'attività concreta nei procedimenti penali - intende  contribuire con l'organizzazione di tali eventi (che seguono altri analoghi)  al diffondersi della cultura della giustizia riparativa la cui filosofia e strumenti sono estensibili a tutti i conflitti personali, intersoggettivi e sociali che coinvolgono le persone. 

"la giustizia riparativa -prodotto culturale dell'uomo e per l'uomo - ha necessità di essere conosciuta e divulgata per costituire - sempre più compiutamente - con audacia e coraggio una "giustizia umanistica" una "giustizia dell'incontro", una cultura valida per ogni conflitto." 
(La giustizia riparativa - Key editore 2021 pg. 295)




























 

   


 Per il licenziamento economico ingiustificato ora c’è il reintegro: la Consulta ha dichiarato in costituzionale sul punto la modifica dell’art.18 Statuto lavoratori della legge Fornero.

 

E’ stata pubblicata il 1 aprile 2021 la sentenza della Consulta n. 59  che assesta altro colpo alla riforma Fornero dell’art.18 Statuto dei Lavoratori.

 

Il giudice del lavoro di Ravenna e la Corte costituzionale – giudice relatore Sciarra – sono binomio che – di nuovo – ampliano varchi e scenari alla tutela del lavoratore.

Già con la sentenza 178 del 2015 – proprio il Giudice Sciarra – su giudizio promosso in via incidentale sempre dal giudice del lavoro di  Ravenna - aveva innovato la giurisprudenza della stessa Consulta circa il blocco contrattuale nel pubblico impiego dichiarando  illegittima la proroga ulteriore in violazione art.39 Costituzione sulla libertà sindacale.[1]

 

Con la recente sentenza 59 è stata dichiarata incostituzionale la modifica ad opera della  legge Fornero (legge 92 del 2012) dell’art. 18 statuto lavoratori (settimo comma) in punto di reintegra nel posto di lavoro del dipendente a seguito di licenziamento economico ingiustificato.

 

I contratti a tutele crescenti introdotti dalla Fornero avevano previsto diverso trattamento per i licenziamenti disciplinari rispetto a quelli economici quando sia accertato dal giudice l’insussistenza del fatto su cui il licenziamento si fonda.

 

Infatti per i licenziamenti disciplinari la legge ha mantenuto il regime preesistente dell’art. 18 statuto lavoratori  ossia la reintegrazione nel posto di lavoro per il lavoratore;   invece per i licenziamenti economici è stata prevista la scelta - ad opera del giudice - tra reintegra e corresponsione di un’indennità nella misura prevista dalla legge Fornero.

Con tale distinzione: 

“Il legislatore ha inteso ridistribuire «in modo più equo le tutele dell’impiego» anche mediante

l’adeguamento della disciplina dei licenziamenti «alle esigenze del mutato contesto di riferimento» e la previsione «di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative

controversie» (art. 1, comma 1, lettera c, della legge citata).

All’originario modello, incentrato sulla tutela reintegratoria per tutte le ipotesi di nullità, annullabilità e inefficacia del licenziamento, fanno riscontro quattro regimi, applicabili ai rapporti a tempo indeterminato instaurati fino al 7 marzo 2015. A decorrere da questa data si dispiega la disciplina introdotta dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che si caratterizza per una diversa ratio e per un diverso regime di tutele.

Si deve ricordare che la tutela reintegratoria piena, indipendentemente dal numero dei dipendenti

occupati, si applica nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo per causa di matrimonio o di maternità o di paternità, retto da motivo illecito determinante o dichiarato inefficace perché intimato in forma orale. Il giudice reintegra il lavoratore e gli riconosce un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, con detrazione di quel che il lavoratore abbia percepito per effetto dello svolgimento di altre attività lavorative (l’aliunde perceptum). L’importo minimo, invalicabile, è di cinque mensilità.

Il lavoratore, in sostituzione della reintegrazione, può chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, senza rinunciare al risarcimento del danno patito nel periodo tra l’estromissione e la richiesta dell’indennità sostitutiva, che già risolve il rapporto di lavoro.

L’art. 18 dello statuto dei lavoratori, così come novellato nel 2012, prevede, inoltre, una tutela

reintegratoria attenuata e una tutela indennitaria, declinata in forma piena e ridotta, e ne sancisce

l’applicazione ai datori di lavoro che occupino più di quindici dipendenti (cinque, se si tratta di imprese agricole) nell’unità produttiva in cui ha avuto luogo il licenziamento o nell’àmbito dello stesso Comune o che occupino complessivamente, sia pure in diverse unità produttive, più di sessanta dipendenti.

La tutela reintegratoria attenuata, invocata nell’odierno giudizio, contempla la reintegrazione nel posto di lavoro, al pari della tutela reintegratoria piena, ma limita a dodici mensilità l’ammontare dell’indennità risarcitoria che il datore di lavoro è obbligato a corrispondere dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Da tale importo, peraltro, deve essere detratto non solo quel che il lavoratore abbia guadagnato in virtù di altre occupazioni (l’aliunde perceptum), ma anche quel che avrebbe potuto guadagnare adoperandosi con l’ordinaria diligenza nella ricerca di un’altra attività lavorativa (l’aliunde percipiendum). Anche in questo caso il lavoratore ha la facoltà – in concreto esercitata nel giudizio principale – di optare per l’indennità sostitutiva della reintegrazione.

Tale tutela si applica ai licenziamenti disciplinari, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo,

allorché il giudice riscontri l’insussistenza del fatto contestato o la riconducibilità del fatto alle condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari.

La tutela reintegratoria attenuata sanziona anche i licenziamenti intimati senza giustificazione «per

motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore», o intimati in violazione delle regole che, nell’àmbito del licenziamento per malattia, disciplinano il periodo di comporto (art. 2110 del codice civile).

Nei licenziamenti economici, la tutela reintegratoria attenuata può essere applicata nelle ipotesi di

«manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo».

 

Ma tale differente tutela  del lavoratore tra le due ipotesi di licenziamento – disciplinare ed economico – nell’ipotesi del settimo comma art. 18 Stat. Lavoratori è stata dichiarata incostituzionale per violazione art. 3 Costituzione. 

 

Il giudice di Ravenna “ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), «nella parte in cui prevede che, in ipotesi in cui il giudice accerti la manifesta insussistenza di un fatto posto a fondamento di un licenziamento per G.M.O. [giustificato motivooggettivo], “possa” e non “debba” applicare la tutela di cui al 4° comma dell’art. 18 (reintegra)».

 


Ebbene tale aspetto dell’art. 18 Stat. Lavoratori è stato dichiarato incostituzionale:

 

“ Sul diritto al lavoro (art. 4, primo comma, Cost.) e sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme e

applicazioni (art. 35 Cost.), questa Corte ha fondato, già in epoca risalente, l’esigenza di circondare di «doverose garanzie» e di «opportuni temperamenti» le fattispecie di licenziamento (sentenza n. 45 del 1965, punto 4 del Considerato in diritto).

L’attuazione del diritto «a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente»

(sentenza n. 60 del 1991, punto 9 del Considerato in diritto) è stata ricondotta, anche di recente, nell’alveo delle valutazioni discrezionali del legislatore, quanto alla scelta dei tempi e dei modi della tutela (sentenza n. 194 del 2018, punto 9.2. del Considerato in diritto), anche in ragione della diversa gravità dei vizi e di altri elementi oggettivamente apprezzabili come, per esempio, le dimensioni dell’impresa. Si è anche rimarcato che la reintegrazione non rappresenta «l’unico possibile paradigma attuativo» dei princìpi costituzionali (sentenza n. 46 del 2000, punto 5 del Considerato in diritto).

In un assetto integrato di tutele, in cui alla Costituzione si affiancano le fonti sovranazionali (art. 24

della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30) e dell’Unione europea (art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – CDFUE –, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), «molteplici possono essere i rimedi idonei a garantire una adeguata compensazione per il lavoratore arbitrariamente licenziato» (di recente, sentenza n. 254 del 2020, punto 5.2. del Considerato in diritto).

Nell’apprestare le garanzie necessarie a tutelare la persona del lavoratore, il legislatore, pur nell’ampio margine di apprezzamento che gli compete, è vincolato al rispetto dei princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza.

9.– La disposizione censurata entra in conflitto con tali princìpi.”

 

Tale discrimen trattamentale  è peraltro viziato anche da irragionevolezza  perché non sono previsti parametri certi per il giudice al fine della determinazione proprio rimedi idonei a garantire la compensazione al lavoratore licenziato.

 

11.– Inoltre, nel demandare a una valutazione giudiziale sfornita di ogni criterio direttivo – perciò

altamente controvertibile – la scelta tra la tutela reintegratoria e la tutela indennitaria, la disciplina censurata contraddice la finalità di una equa ridistribuzione delle «tutele dell’impiego», enunciata dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 92 del 2012. L’intento di circoscrivere entro confini certi e prevedibili l’applicazione del più incisivo rimedio della reintegrazione e di offrire parametri precisi alla discrezionalità del giudice rischia di essere vanificato dalla necessità di procedere alla complessa valutazione sulla compatibilità con le esigenze organizzative dell’impresa.

Anche da questo punto di vista, si ravvisa l’irragionevolezza censurata dal Tribunale di Ravenna.

12.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo

periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al quarto comma del medesimo art. 18.

Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura prospettati dal rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20

maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.

 

Lattari Pasquale

 

 



[1] A seguito della partecipazione a tale giudizio il volume Breviario di diritto sindacale dopo la sentenza della Corte Costituionale n. 178 del 2015(vd https://pasqualelattari.blogspot.com/p/biografia.html  e https://curciostore.com/libreria/breviario-di-diritto-sindacale/)  ad evidenziare  l’importanza della decisione in ambito di diritto sindacale nel pubblico impiego.