LA CORTE COSTITUZIONALE:  FAMIGLIA, CONVIVENZA ..RELAZIONI AFFETTIVE…SONO CONCETTI NON INDIFFERENTI AI FINI DELLA LEGGE PENALE


I concetti di famiglia e di convivenza sono distinti dalla relazione affettiva e non sono analoghe…anche e specie ai fini penali.


In  un processo per  atti persecutori (il cosiddetto stalking)(612 bis cp) per una serie di condotte abusive compiute nei confronti di una donna con cui l’imputato intratteneva da qualche mese una relazione affettiva, e che frequentava abitualmente la sua casa familiare, il giudice prospettava  riqualificazione dei fatti contestati all’imputato nel più grave reato  di maltrattamenti in famiglia.(572 cp). Ciò sulla base di un orientamento della Corte di Cassazione che considera integrato questo reato in presenza di condotte maltrattanti compiute in un “contesto affettivo protetto”, caratterizzato da “legami forti e stabili tra i partner” e dalla “condivisione di progetti di vita”.


In un giudizio recentissimo della Consulta (a cui il proc.to era giunto  per questioni processuali..ossia possibilità di chiedere il rito abbreviato..…_) concluso con sentenza n. 98 del 2021  pubblicata il 14 maggio 2021 (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2021:98) si afferma tra l’altro che: 


- il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone, per quanto qui rileva, che le condotte abusive siano compiute nei confronti di una persona della stessa “famiglia”, oppure di una persona “convivente”; e che, invece, il reato di atti persecutori aggravati prevede che le condotte vengano compiute nei confronti di persona che sia o sia stata legata all’autore da una “relazione affettiva”. 

-“ la stabilità della relazione affettiva in un «contesto affettivo protetto», caratterizzato da «legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso per colui che patisce i maltrattamenti sottrarsi ad essi e particolarmente agevole per colui che li perpetua proseguire» sembrerebbe essere il discrimen tra le due situazioni di fatto che attivano le diverse conseguenze giuridiche e… tuttavia “una recente sentenza della Corte di cassazione – invero successiva all’ordinanza di rimessione – ha escluso il delitto di maltrattamenti in famiglia in un’ipotesi assai simile a quella oggetto del processo a quo, caratterizzata da una relazione «instaurata da non molto tempo» e da una “coabitazione” consistita soltanto «nella permanenza anche per due o tre giorni consecutivi nella casa dell’uomo, ove la donna si recava, talvolta anche con la propria figlia» (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 23 novembre 2020-25 gennaio 2021, n. 2911).

-“ La giurisprudenza di legittimità, considerata alla luce dei casi di volta di volta esaminati, fornisce dunque indicazioni assai meno univoche di quanto appaia dall’ordinanza di rimessione circa la possibilità di sussumere entro la figura legale descritta dall’art. 572 cod. pen., e non in quella di cui all’art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., condotte abusive poste in essere nel contesto di una relazione affettiva con le caratteristiche illustrate nell’ordinanza di rimessione, ove si dà atto in particolare dell’assenza di convivenza (presente o passata) tra i due protagonisti della vicenda.”

-E’ quindi fondamentale l’inquadramento giuridico perché - a fronte di una relazione affettiva durata qualche mese e caratterizzata da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro - la vittima potesse essere considerata, alla stregua del linguaggio comune, come persona già appartenente alla medesima “famiglia” dell’imputato, ovvero con lui “convivente”. (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20210514132323.pdf)

 

-“E dunque, il pur comprensibile intento, sotteso all’indirizzo giurisprudenziale cui il rimettente aderisce, di assicurare una più intensa tutela penale a persone particolarmente vulnerabili, vittime di condotte abusive nell’ambito di rapporti affettivi dai quali esse hanno difficoltà a sottrarsi, deve necessariamente misurarsi con l’interrogativo se il risultato di una siffatta interpretazione teleologica sia compatibile con i significati letterali dei requisiti alternativi «persona della famiglia» e «persona comunque […] convivente» con l’autore del reato; requisiti che circoscrivono – per quanto qui rileva – l’ambito delle relazioni nelle quali le condotte debbono avere luogo, per poter essere considerate penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 572 cod. pen.”

-“.. ai fini della “qualificazione giuridica dei fatti accertati in giudizio il rimettente omette di confrontarsi con il canone ermeneutico rappresentato, in materia di diritto penale, dal divieto di analogia a sfavore del reo: canone affermato a livello di fonti primarie dall’art. 14 delle Preleggi nonché – implicitamente – dall’art. 1 cod. pen., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. (nullum crimen, nulla poena sine lege stricta) (sentenza n. 447 del 1998).”

“Il divieto impedisce – ha proseguito la Consulta – di riferire la norma a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei significati letterali delle espressioni utilizzate dal legislatore. “ (vd comunicato Consulta)

Ed il giudice non può applicare analogicamente  la legge penale in situazioni non riconducibili al significato letterale delle espressioni usate dal legislatore 

“Ciò a garanzia sia del principio della separazione dei poteri, che assegna al legislatore – e non al giudice – l'individuazione dei confini delle figure di reato; sia della prevedibilità per il cittadino dell’applicazione della legge penale, che sarebbe frustrata laddove al giudice fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello desumibile dalla sua immediata lettura.”


 Per altro verso, il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici da parte del giudice costituisce l’ovvio pendant dell’imperativo costituzionale, rivolto al legislatore, di «formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intellegibilità dei termini impiegati» (sentenza n. 96 del 1981).”

 

E su questo ce n’è da dire!!

Pasquale avv.Lattari