Le parole dei giudici sulla donna – che assolvono gli imputati in reato di stupro - possono costituire vittimizzazione secondaria.

                                            


                                                                                                          Prudenza e Giustizia -  Pietro Perugino -  Sala delle Udienze del Collegio del Cambio -  Perugia 

Le parole dei giudici sulla donna – che assolvono gli imputati in reato di stupro - possono costituire vittimizzazione secondaria.

Una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo condanna l’Italia per i pregiudizi sul ruolo della donna veicolate dalle parole dei giudici che assolvevano gli imputati in processo per stupro. E la sentenza è stata commentata da siti specialistici.[1]

Gli imputati in primo grado condannati per stupro sono poi assolti in appello. Sentenza diviene definitiva per mancato ricorso in cassazione.

La vittima aveva ricorso a Strasburgo per violazione art. 8  della Convenzione europea dei diritti umani, che prevede che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia (Sent., 27 maggio 2021, causa J.L. c. Italia, ric. 5671/16)!! 

“In particolare, le autorità nazionali non avevano protetto la ricorrente dalla c.d. vittimizzazione secondaria durante l'intero procedimento penale, in cui il contenuto della sentenza ha svolto un ruolo molto importante, soprattutto in considerazione del suo carattere pubblico.

Non solo, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto ingiustificati i commenti riguardanti la bisessualità della ricorrente, le sue relazioni e i rapporti sessuali occasionali precedenti agli eventi contestati. Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte di secondo grado, infatti, trasmettevano pregiudizi esistenti nella società italiana riguardo al ruolo delle donne ed erano verosimilmente un ostacolo a fornire una protezione efficace per i diritti delle vittime di violenza di genere, nonostante un quadro legislativo soddisfacente.[2]

«Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’Appello di Firenze veicolano il pregiudizio sul ruolo della donna come si presenta nella società italiana e che è idoneo ad ostacolare una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere a dispetto di una quadro legislativo soddisfacente»

La Corte europea afferma: «le autorità giudiziarie evitino di riprodurre gli stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare le violenze contro il genere e di esporre le donne ad una vittimizzazione secondaria utilizzando delle affermazioni colpevolizzanti e moralizzanti idonee a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia» 

“La Corte si è permessa di annotare, in conclusione, come il VII rapporto periodico (2017) sull’Italia del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW) e il rapporto (2020) del GREVIO (Gruppo Esperte sulla Violenza del Consiglio d’Europa) per il monitoraggio dell’applicazione della Convenzione di Istanbul, abbiano constatato la persistenza di stereotipi concernenti il ruolo delle donne e la resistenza della società italiana verso una reale eguaglianza tra i sessi. 

Entrambi i rapporti hanno sottolineato la scarsa percentuale di processi e di condanne per violenze nei confronti delle donne: ciò dimostra una scarsa fiducia da parte delle vittime verso il sistema di giustizia penale.” [3]

“Una sentenza importantissima, quella emessa stamattina dalla Corte europea dei diritti umani, perché stigmatizza la delegittimazione delle vittime di stupro, ritenute corresponsabili delle violenze subite in base a valutazioni legate alla loro vita privata che continuano a essere usate per motivare sentenze condiscendenti verso gli autori delle violenze, nonostante ciò sia vietato da nome interne e internazionali, a cominciare dalla Direttiva dell’Unione europea sulla protezione delle vittime di reato, dalla CEDAW e dalla Convenzione di Istanbul”.

Ad affermarlo Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, in merito al ricorso alla CEDU presentato dalle avvocate Sara Menichetti e Titti Carrano di D.i.Re contro la decisione della Corte d’appello di Firenze che aveva ribaltato la sentenza di condanna degli imputati dello stupro di gruppo ai danni di una giovane donna, sulla base della presunta non credibilità della vittima a causa di una valutazione moralistica della sua vita privata….

Da tempo denunciamo il rischio di vittimizzazione secondaria nei tribunali e le sue nefaste conseguenze. La magistratura italiana deve evitare di usare strumenti che colpevolizzano le donne e rispettare le convenzioni internazionali a tutela delle donne che subiscono di violenza, conclude la presidente di D.i.Re.”[4]

“Sul punto, la Corte EDU ha ribadito che il processo penale e le relative sanzioni svolgono un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza nei confronti delle donne e nella lotta alla disuguaglianza di genere. È quindi essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi di genere nei loro provvedimenti, minimizzando la violenza di genere ed esponendo le donne a una vittimizzazione secondaria, anche attraverso un linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario.

Una sentenza che suona come uno schiaffo doloroso al sistema paese, e che tuttavia sembra quanto mai necessario, posto che ancora oggi è prassi, tanto comune quanto ignobile, quella di impostare il processo per stupro come un processo contro le donne, in un tentativo maldestro di sviare strategicamente l’attenzione del collegio giudicante dall’imputato alla vittima.

Fa specie dover constatare che ad oltre 40 anni dalle parole di condanna di questa prassi pronunciate dall’Avvocata Tina Lagostena Bassi, nel celebre processo per stupro del 1979 (trasmesso allora anche dalla RAI), il nostro paese si trovi ancor oggi sovente in una condizione incredibilmente comparabile a quella denunciata con vis – per i tempi – rivoluzionaria dalla compianta Collega.

Parole che ancor oggi riecheggiano nelle nostre menti e che sembrano un triste commento alla recente sentenza di Strasburgo:  

“E questa è una prassi costante: il processo alla donna, la vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. [..] Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa.”.[5]

Che dire?!? 

Le vittime – specie di violenza -  hanno diritti ed aspettative di giustizia che  comprendono i bisogni di cura, di ascolto, di accoglienza e di rispetto comunque ed  a prescindere dall’esito del giudizio e dal ruolo dell’operatore di giustizia. 

E la giustizia è tale se è  prudente (vd immagine).. anche nelle espressioni!! 

Pasquale avv.Lattari