“Gregge privo di pastore…” le leggi regionali sui servizi sociali sono spesso dichiarate incostituzionali!!



“Gregge privo di pastore…”le   leggi regionali sui servizi sociali sono spesso dichiarate incostituzionali!!  

                                   

E’ di qualche giorno fa la notizia – chiaramente passata del tutto inosservata – che la Corte costituzionale con sentenza n. 9 del 2021 ha dichiarato incostituzionale una legge regionale (Abruzzo) che – nell’assegnazione delle cd case popolari  – prevedeva  un meccanismo premiale (maggior punteggio) per le persone con  residenza prolungata per almeno dieci anni in comuni della Regione. 

La sentenza interessa - non per il caso concreto - ma per i principi evocati che riguardano tutti i servizi sociali. 

Afferma la Corte: “che i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio (ex plurimis, sentenze n. 281 e n. 44 del 2020, n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011).”

 

E la normativa riguardante i servizi sociali  – in cui rientra l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica - é “finalizzata a soddisfare un bisogno della «persona in quanto tale che, per sua stessa natura, non tollera distinzioni basate su particolari tipologie di residenza». 

È il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) la bussola che deve orientare l’azione del legislatore, sia statale sia regionale, specie quando è chiamato a erogare prestazioni e servizi connessi ai bisogni vitali dell’individuo, come quello abitativo. Ogni tentativo di far prevalere sulle condizioni soggettive e oggettive del richiedente valutazioni diverse, quali in particolare quelle dirette a valorizzare la stabile permanenza nel territorio, sia nazionale sia comunale, deve essere quindi oggetto di uno stretto scrutinio di costituzionalità che verifichi la congruenza di siffatte previsioni rispetto all’obiettivo di assicurare il diritto all’abitazione ai non abbienti e ai bisognosi.”(Sentenza n. 9 del 2021) 

 

Non è la prima volta che le leggi regionali privilegiano – l’intento politico/elettorale è chiaro!! – cittadini italiani radicati sul territorio al cospetto della restante popolazione o di stranieri (si vedano leggi regionali scrutinate con le sentenze della Consulta suindicate).

E ciò riguarda  tutti i diversi servizi e prestazioni sociali (dall’assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica sino all’ammissione agli asili nido (vd sentenza 107 del 2018))[1]

I valori giuridici che hanno ispirato le norme regionali  – la residenza regionale oltre un determinato termine  è privilegiata al pari dei bambini figli di residenti… (la semplificazione è chiaramente estremizzata!!) – sono ictu oculi contra ius…

Le norme regionali, prima ancora che la Costituzione, contraddicono lo ratio e la vocazione universalistica dei servizi sociali di garantire pari opportunità ed  evitare discriminazioni (art. 1, comma 1, della legge n. 328 del 2000)

I principi determinati della Consulta - nonostante ormai siano costanti nel tempo - sono continuamente  disattesi dai legislatori regionali.  

Che formalizzano tali principi discriminatori in norme valutate, votate ed approvate  da assemblee regionali legislative, e vigenti valide ed efficaci sino al giudizio di costituzionalità.[2][2]

Al riguardo la Consulta è sempre impietosa nelle valutazioni di tali norme regionali al cospetto della Costituzione  ribadendo la necessità di  coerenza delle norme regionali ai principi generali: coerenza che è un carattere strutturale del diritto e dell’ordinamento di un paese civile!!

Per tutte si ricorda un’ efficace metafora usata dalla Consulta che stigmatizza:  il valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese civile nella coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale le norme che ne fan parte degradano al livello di gregge privo di  pastore: canone di coerenza che nel campo delle norme di diritto è l'espressione del principio di eguaglianza di trattamento tra eguali posizioni sancito dall'art. 3.(costituzione)(sentenza Consulta 204 del 1982 ripresa dall’ordinanza 151 del 2019) ).

L’assenza di coerenza con i principi costituzionali da parte delle Regioni in materia di servizi sociali ripetuta e reiterata (si vedano le reiterate pronunce della Consulta) suscita diseguaglianze; ed è  fonte di discriminazione.[3]

 

E più di  qualche spunto di riflessione andrebbe attivato.

Pasquale avv.Lattari



[1] La Consulta con la sentenza 107 del 2018  ha sancito l’incostituzionalità della legge regione Veneto anche per violazione art. 31 cost.ne: “Inoltre “è fondata infine anche la questione riferita all’art. 31, secondo comma, Cost., in base a cui la Repubblica «[p]rotegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». La norma impugnata fissa un titolo di precedenza che tradisce il senso dell’art. 31, secondo comma, Cost.: essa, cioè, non incide sul quantum e sul quomodo del servizio degli asili nido ma ne distorce la funzione, indirizzandolo non allo scopo di tutelare le famiglie che ne hanno bisogno ma a quello di privilegiare chi è radicato in Veneto da lungo tempo. La norma impugnata, dunque, persegue un fine opposto a quello della tutela dell’infanzia, perché crea le condizioni per privare del tutto una categoria di bambini del servizio educativo dell’asilo nido.”

[2] Il giudizio circa la questione di costituzionalità di norme regionali nel caso de quo è stato sollevato con ricorso in via principale a seguito di determinazione del Consiglio dei Ministri del Governo Italiano…e se anche il Consiglio dei Ministri – magari per stessa visione politica e condivisione degli stessi valori politici e giuridici delle leggi regionali !!! – non solleva la questione di costituzionalità contro la legge regionale…occorre attendere i “tempi”  lunghi ed accidentati (il giudice deve valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della quaestio)  di un giudizio di costituzionalità sollevato con una questione incidentale da un giudice davanti alle quali i cittadini hanno una controversia che riguarda la legge da applicare..(?!?)

[3] E’ l’espressione usata dalla  sentenza n. 9/2021ultima parte.  

L’avvocato - nel processo di famiglia - è difensore del padre o della madre ma è anche difensore del minore. Qualunque sia la sua posizione processuale.

“Nel processo di famiglia l’avvocato è difensore del padre o della madre; ma certamente è anche difensore del minore. Qualunque sia la sua posizione processuale”

 

Questo afferma una ordinanza in cui mi sono imbattuto durante una ricerca giurisprudenziale per un caso specifico.

Ordinanza che – nonostante sia del 2016[1] - è quantomai attuale e costituisce  MEMENTO  (per lo scrivente prima che per chi legge)  circa  il delicato il ruolo dell’avvocato nei procedimenti di in cui sono coinvolti minori.

 

Ai lettori – specie ai colleghi – si paleseranno i tanti proc.ti di famiglia in cui i minori anziché beneficiari sono vittime della conflittualità giudiziaria ( e chi è che non ne ha esperienza!!). Ma le restanti parti dell'ordinanza sono chiarissime!!

 

“Al cospetto di una litigiosità esasperata dei genitori, avente ad oggetto finanche una res litigiosa inesistente e frutto, dunque, del solo desiderio di creare nuove occasioni di scontro, ove soprattutto si tratti di micro-conflittualità, gli Avvocati del processo hanno non solo il dovere ma invero l’obbligo di svolgere un ruolo “protettivo” del minore, arginando il conflitto invece che alimentarlo. Ciò alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva dell’Ordinamento vigente, come risultante per effetto delle normative sopravvenute nel tempo.”

 

E tra queste rilevanti l’ordinanza ne cita diverse; ma anzitutto premette: 

 

“Giova muovere dalla primaria considerazione che l’Avvocato svolge un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p.) ed opera nel contesto di un ordinamento (quello forense) la cui primaria funzione è quella di «garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi» sui quali incide la sua attività (art. 1, comma II, lett. a, legge 31 dicembre 2012 n. 247) assicurando, dunque, anche la realizzazione di interessi pubblici primari. Al lume della nuova legge professionale, l’Avvocato è esso stesso parte del servizio pubblico di Giustizia, onerato del dovere di proteggere anche gli interessi pubblici che “incontra” in occasione del processo cui prende parte. Nella doverosa rappresentanza degli interessi egoistici difesi deve, dunque, anche farsi carico di assistere e presidiare gli “interessi altri” coinvolti, nei casi in cui l’Ordinamento gli affidi questo ruolo e questa responsabilità. Lo testimonia espressamente il nuovo codice deontologico forense ove, proprio all’art. 1, è previsto che l’Avvocato «vigila sulla conformità della legge ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea sul rispetto del medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». In alcuni settori in particolare, l’Avvocato diventa, dunque, esso stesso uno strumento di tutela degli interessi prioritari in gioco senza che ciò comporti una rinuncia al suo suolo di “parte del processo”.  Con specifico riguardo al procedimento in cui coinvolti minori, è sempre il Codice Deontologico forense a delineare una funzione del difensore di tipo protettivo.”

Infatti 

-l’Avvocato non può ascoltare il minore di età o avere con questi colloqui sulle circostanze oggetto di controversie genitoriali (art. 56 codice deontologico)

e soprattutto

-Il minore  assume la qualifica di parte “sostanziale” del processo in cui è coinvolto (Cass. Civ., Sez. Un., 2238 del 2009; Corte Cost. n. 83 del 2011)

Pertanto “l’Avvocato non assiste mai uno dei genitori “contro” il minore ma, semmai, in favore e nell’interesse “del minore”. Il minore, dunque, non è un “antagonista” processuale né rispetto all’attore, né rispetto al convenuto. Al contrario, nelle dinamiche avversariali (formate dalle posizioni attorea e di convenuto), i figli sono in posizione “neutrale” e gli Avvocati, assumendo la difesa dei loro genitori, si impegnano a proteggerli e ad operare anche nel loro interesse.”

Il valore “protettivo del minore” che deve ispirare anche l’attività dell’Avvocato  si desume anche:  

-dalle “Linee Guida del Comitato dei Ministeri del Consiglio d’Europa sulla Giustizia a Misura di minore”... “Ebbene, in questo testo europeo, tra l’altro, si richiamano le autorità giudiziarie e tutti i professionisti in contatto con i minori (inclusi gli Avvocati) affinché «in tutti i procedimenti giudiziari i minori siano protetti da eventuali pregiudizi, tra cui intimidazioni, rappresaglie e vittimizzazione secondaria».”

- dal Diritto Ue e le convenzioni internazionali convergono nell’affermare che «in tutti gli atti relativi ai minori (…) l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente» (v. ex multis, art. 3 par. 1, Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; art. 24, par. 2. della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). 

Alla luce di tutto quanto sin qui evidenziato, reputa questo Tribunale che quando l’Avvocato stipula il contratto di patrocinio con un genitore, per assisterlo in un procedimento minorile in cui coinvolti i figli, di fatto perviene alla conclusione di un contratto «ad effetti protettivi verso terzi» ove terzi sono i figli, secondo il modello negoziale collaudato in settori affini, come quello sanitario.”[2]

“In altri termini, nella doverosa assistenza del padre o della madre, l’Avvocato deve sempre anteporre l’interesse primario del minore e, in virtù di esso, arginare la micro-conflittualità genitoriale, scoraggiare litigi strumentali al mero scontro moglie-marito, proteggere il bambino dalle conseguenze dannose della lite.”

E soprattutto  va evidenziato che in presenza di tale dovere la violazione da parte dell’Avvocato comporta necessariamente una 

responsabilità, tant’è che: 


“Ne consegue ancora che l’Avvocato può essere, per l’effetto, destinatario di un rimprovero nelle sedi competenti (in primis quella della responsabilità civile) per condotte attive od omissive che abbiano contribuito a causare un nocumento al minore, per effetto della omessa o mancata protezione dell’interesse superiore del fanciullo.” 

C’è molta materia per le riflessioni circa la deontologia professionale…e non solo!!

Pasquale avv.Lattari

 

 

 

 

 



[2] La giurisprudenza ( Cass. civ. Sez. Unite 2008, n. 577 ed altre ) definisce ed inquadra nel contratto con effetti protettivi "a favore del terzo" il ricovero ospedaliero tra la partoriente e l’ente ospedaliero: l’ente è obbligato – per tutte le cure necessarie e prestazioni necessarie – non solo verso la madre ma anche nei confronti del nascituro e proteggerlo da ogni pregiudizio.La  Cass. civ. Sez. Unite, 2002, n. 9346 fa riferimento  al contratto ad effetti protettivi a favore del terzo anche  alla responsabilità da “contatto sociale” dell’istituto scolastico che stipulando il rapporto con i genitori a seguito iscrizione ed ammissione del minore/allievo, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale con obbligo di protezione "a favore del terzo" minorenne dai danni procurati da sé stesso. 

 


Giustizia riparativa. Una giustizia"umanistica". Una cultura dell' "incontro" per ogni conflitto

Il testo inaugura la collana "PERCORSI DI GIUSTIZIA RIPARATIVA"


di seguito il prologo del testo.



s.t.D.

 

 

 “de te fabula narratur”

ossia

“E’ di te che si parla in questa favola”

 

Orazio

 

 

 

PROLOGO  

 

Pensare la giustizia è esplorare una problematica umana essenziale,[1] vasta quanto il mondo[2], antica e  profonda[3] quanto l’uomo e la sua coscienza. 

 

L’idea di giustizia è insita in tutte le riflessioni sull’uomo e sul suo vivere sociale,  ha infiniti significati e sfaccettature, uno per ciascun ambito d’investigazione.  

 

La Giustizia in generale  indica un’armonia, un congruenza, una proporzione: una previsione “giusta”, una misura “giusta”, un considerazione “giusta”.

 

La Giustizia viene pensata  al rapporto con Dio: Dio stesso è Giustizia  e giusti sono gli uomini che seguono i suoi comandamenti.

 

La Giustizia è una virtù morale[4],  un principio dell’interiorità o della coscienza: l’ aspirazione al bene,  l’attitudine ad essere retti, equi, onesti, integri, probi..appunto “giusti”.

 

La Giustizia è propria delle relazioni dell’Uomo.

L’idea della Giustizia nell’antichità  - molto più che oggi - pervadeva profondamente  la vita sociale e distingueva la barbarie dalla civiltà: Ulisse che sbarca nel paese sconosciuto dei Ciclopi afferma: “chi saranno gli abitanti di questa terra? Saranno malfattori e dei selvaggi senza Giustizia oppure onoreranno lo straniero e temeranno gli dei”. (Odissea cap. VI) 

 

La Giustizia  è legata al diritto ed  è - ab origine –  un binomio forte ed indissolubile: la giustizia è “il potere di realizzare il diritto  con provvedimenti aventi forza esecutiva, ed esercizio di questo potere” [5] e tuttavia, al contempo,  se ne distingue diventandone termine di riferimento e comparazione. 

 

Giustizia etimologicamente  deriva:  

-dal greco dike che è giustizia ma anche azione giudiziaria applicativa della legge

-dal latino iustitia da ius – diritto, legge, - con l’aggiunta del suffisso per renderlo sostantivo: giustizia e diritto per i romani coincidevano ed erano sinonimi.

 

E proprio alla Giustizia,  in relazione all’ applicazione giudiziale della legge,   fa riferimento l’ Iconografia tradizionale: la Giustizia è raffigurata da una donna con la bilancia segno di ponderazione ed equilibrio e la capacità di stabilire la ragione ed il torto; con la spada simbolo della punizione per i colpevoli; con la benda sugli occhi simbolo di imparzialità e distacco (la legge uguale per tutti).

E’ il canone della giustizia punitiva o retributiva che sin da Hammurabi - l’occhio per occhio e dente per dente –  giunge  sino a Noi: restituisce al “male” del reo l’“altro  male” della pena. 

 

Il sistema penale retributivo – comprensivo del sistema giudiziario e penitenziario -  patisce molte difficoltà ed insufficienze e la pena non costituisce risposta adeguata ed efficace.

 Il reo punito viene allontanato dalla società, assicurando momentanea sicurezza e tacitando il bisogno di vendetta collettiva ma,  in concreto, la pena sempre più raramente ha finalità rieducativa del reo; anzi  spesso la reclusione accentua la devianza. 

E soprattutto la pena ed il sistema retributivo non restituisce alcunchè alla vittima.

 

La giustizia riparativa è una dinamica costruttiva e relazionale di risposta agli effetti distruttivi del reato per le relazioni personali e sociali che - appunto riparando o restaurando il rapporto rotto dal reato – intende riparare il male, rivalutare il ruolo della vittima, recuperare il reo e coinvolgere entrambi insieme alla società per risolvere le conseguenze causate dal reato.

 

A tale visione della giustizia retributiva da qualche decennio si è  affiancata la Restorative Justice tradotta in Italia da con il termine di giustizia riparativa o anche giustizia  restaurativa.[6].

Nel sistema penale – per i minori dal 1988 e per gli adulti dal 2014 – è stato introdotto il procedimento di messa alla prova che “irroga” al reo un progetto costruttivo con il quale può rispondere alle conseguenze del reato. Ed all’interno del percorso le vittime possono avere spazio di accoglienza, ascolto (peraltro di recente spazi nuovi nel processo penale sono riservati alle vittime particolarmente vulnerabili dalla normativa su input di quella internazionale). Il reo può confrontarsi con la vittima – ove questa presti il consenso - e specchiarsi con le reali conseguenze dannose delle proprie azioni: è la mediazione penale.

 

La prospettiva della riparativa evidenzia aspetti ed argomenti della Giustizia che spesso restano sullo sfondo. Ed introduce approcci che si estendono oltre gli ambiti giudiziari e sono validi per tutti i conflitti e tutte le crisi relazionali dei rapporti personali e sociali.

 

Il conflitto con la leggeil conflitto  con l’altro non è sempre né totalmente  risolvibile con le logiche dell’aggiudicazione della ragione o del torto con l’individuazione  del reo o con l’irrogazione della pena. Peraltro nelle relazioni umane giusto e ingiusto, reità ed innocenza non sono così distinte e contrapposte si confondono, si sovrappongono si capovolgono: la verità propria si scontra con la verità altrui ed i confini non sono così marcati anzi spesso sono sfumati, confusi, nascosti. Inoltre il dolore, la rabbia il risentimento e tutte gli aspetti emotivi derivanti dal conflitto non vengono trattati del giudizio tradizionale.

 

Da uomini pacifici e onesti si è illusi che si è immuni dalle logiche della conflittualità  apparentemente giudiziarie limitate ai soli operatori della giustizia – a parte che  ben potrebbe accadere indipendentemente da noi di entrarne nel circuito !! e di aver a che fare con il processo e con le sue logiche – ma in realtà  il conflitto e la sua distruttività attraversa tutte le relazioni personali e sociali e quindi la vita quotidiana di ciascuno; e così cade l’idea che la materia non ci riguarda, al contrario, diventa per ciascuno  affar proprio[7].

 

La giustizia riparativa è  una prospettiva di giustizia giudiziaria ma anche dei rapporti e delle relazioni - che ne valorizza il carattere umanistico – è  una concreta “cultura”, una “filosofia” idonea e valida per ogni conflitto personale e sociale. 

 

La Giustizia riparativa perciò  parla di ciascuno ed a ciascuno: “mutato nomine haec de te fabula narratur” ossia“cambiato il nome è di te che si parla in questa favola” (Orazio satire 1,1,69-70)

 

 

 




[1] “Su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità e la pace.  Così la Mishnah (avot I,189), che commenta:  le tre cose sono in realtà una sola: la giustizia. Infatti, appoggiandosi la giustizia sulla verità segue la pace.” G.Zagrebelsky L’idea di giustizia e l’esperienza di giustizia in CM Martini Le Cattedre dei non credenti Milano 2015 pg. 1159

[2] “La giustizia è la virtù che si esprime nell’impegno di riconoscere e rispettare il diritto di ognuno dandogli ciò che gli spetta secondo la ragione e la legge. Per questo il tema della giustizia è vasto come il mondo: tocca tutti i rapporti interpersonali e anche tutti i problemi della vita collettiva e delle relazioni internazionali.”[2] CM Martini sulla Giustizia Milano 1999 pg. 15…ma “Oggi la giustizia è intesa spesso come equità nello scambio sociale, non invece come rettitudine interiore dell’uomo, come virtù”. Pg. 23 

[3] “ora però facciamo attenzione alle parole perché esse, soprattutto quanto sono antiche, racchiudono un messaggio prezioso. Lo riconosceva anche Wittgenstein: “Quanto più una parola è vecchia, tanto più va a fondo”” V Mancuso Il coraggio e la paura Milano 2020 pg. 15

[4] Per Platone la virtù della giustizia sta al secondo posto dopo la saggezza. Per Aristotele, invece,  la giustizia è la virtù per  eccellenza  (vi è dedicato un intero capitolo Etica Nicomachea) che anzi comprende ogni virtù (la saggezza rientra nelle virtù dell’anima razionale…mentre la giustizia tra quelle dell’anima irrazionale).  La Giustizia – per la Chiesa - fa parte delle quattro  virtù cardinali – insieme a prudenza,   fortezza temperanza – ma “ se uno ama la giustizia, le virtù sono frutto delle sue fatiche.” (Sap.8,7).

 

[5] Voce giustizia in www.treccani.it/vocabolario

[6] Per l’origine del nome e la questione definitoria vd G.Mannozzi, GA Lodigiani La giustizia riparativa Torino 2017 pg. 73 e seg.ti

[7] P.Calamandrei Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria in P.Calamandrei Raccolta Opere giuridiche X Roma ed.2019 pg 221


La giustizia riparativa nel procedimento di messa alla prova ex legge 67 del 2014 - webinar 18 dicembre 2020


L'INTERVENTO AD OGGETTO


La giustizia riparativa: caratteristiche e finalità. Le norme italiane rilevanti.



 INIZIERA' CON LE 


DEFINIZIONI DI GIUSTIZIA RIPARATIVA : 

 

Raccomandazione CM/Rec(2018)8 del Comitato dei ministri agli Stati membri  sulla giustizia riparativa in materia penale

Per giustizia riparativa si intende “qualsiasi procedimento che consente a chi è stato offeso (harmed) dal reato (crime) e a chi è responsabile di tale offesa (harm), se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni sorte con il reato (offense) mediante l’aiuto di un terzo imparziale appositamente formato (facilitator).”

 

Direttiva 29/2012 UE che istituisce “norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato

«“giustizia riparativa”: qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale». [1]

Colui che è definito il padre della giustizia riparativa così la definisce: 

“La giustizia riparativa può essere vista come un modello di giustizia che coinvolge la vittima il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo.”[2]

 

“La giustizia riparativa è un processo volto a coinvolgere, il più possibile, coloro che sono stati interessati da uno specifico illecito per individuare ed affrontare collettivamente le conseguenze dannose, i bisogni e le obbligazioni al fine di promuovere la riconciliazione e di ripristinare, per quanto possibile, l’ordine delle cose”[3]


E POI...CONTINUERA'  CON LE CARATTERISTICHE DELLA GIUSTIZIA RIPARATIVA RISULTANTI DALLE NORME DEL NOSTRO ORDINAMENTO CHE  LA APPLICANO ... 


[1] Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime Allegato 3 

[2] Howard Zehr  Changing lenses. A new focus on crime and justice Herald press Scottsdale 1990 pg 181

[3] HZehr – A gohar The little book of restorative justice pg. 40 

Tutela del minore ed omogenitorialità: sul diritto delle persone della coppia omosessuale ad essere riconosciuti come genitori - in caso di procreazione medicalmente assistita(PMA) - si è pronunciata la Consulta.


Tutela del minore ed omogenitorialità[1].Sul  il diritto delle persone della coppia omosessuale ad essere riconosciuti come genitori - in caso di procreazione medicalmente assistita(PMA)  - si è  pronunciata  la Consulta.

Il fatto.


Due donne unite civilmente hanno – con il consenso dell’altra – avviato fecondazione medicalmente assistita all’estero dalla quale è nato un bambino (alla madre biologica) con il consenso dell’altra donna (definita dalla giurisprudenza madre cd  intenzionale) e  chiedevano all’Ufficiale di stato civile di indicare il minore come figlio di entrambe e non della sola partoriente. Al rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile è seguito giudizio civile  per rettifica stato di nascita. 


Il giudice ha sollevato la questione di costituzionalità perché le norme italiane applicabili[2]  sarebbero contrarie ai  diritti inviolabili della persona - il diritto alla genitorialità e il diritto alla procreazione nell’ambito di una unione civile legalmente riconosciuta nell’ordinamento italiano – e  discriminerebbe i cittadini per il loro orientamento sessuale ed in considerazione delle condizioni patrimoniali in cui versano le coppie; introdurrebbe, anche avuto riguardo al panorama della legislazione europea, un irragionevole divieto basato su discriminazioni per mere ragioni legate all’orientamento sessuale dei componenti la coppia.



La Consulta con sentenza n. 230 del  4 novembre 2020
  ha dichiarato inammissibile la questione.

E diverse sono le questioni  affrontate  fonte di spunti di riflessione – non solo giuridica – riguardanti sia i diritti alla genitorialità da parte della coppia che dal lato dell’interesse del  minore: 

 

la legge n. 76 del 2016 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.”  – pur riconoscendo la dignità sociale e giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso – non consente  la filiazione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore, in quanto «[d]al rinvio che il comma 20 dell’art. 1 di detta legge opera alle disposizioni sul matrimonio (cosiddetta clausola di salvaguardia) restano, infatti, escluse, perché non richiamate, quelle, appunto, che regolano la paternità, la maternità e l’adozione legittimante». (sentenza consulta n. 237 del 2019) 

 

- la scelta, operata dopo un ampio dibattito dal legislatore del 2016 – quella, cioè, di non riferire le norme relative al rapporto di filiazione alle coppie dello stesso sesso, cui è pur riconosciuta la piena dignità di una «vita familiare» – sottende l’idea, «non […] arbitraria o irrazionale», che «una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato» (sentenza n. 221 del 2019).

E tale scelta non viola gli artt. 2[3] e 30[4] Cost., per i profili evidenziati dal giudice a quo, perché l’aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge a livello di diritto fondamentale della persona nei sensi di cui al citato art. 2 Cost.(sentenza 230 del 2020)

- l’art. 30 Cost. «non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli» e «[l]a libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori […] non implica che […] possa esplicarsi senza limiti» (sentenza n. 162 del 2014). E ciò poiché deve essere bilanciata, tale libertà, «con altri interessi costituzionalmente protetti: […] particolarmente quando si discuta della scelta di ricorrere a tecniche di PMA, le quali, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale, attorno ai quali è evidentemente costruita la disciplina degli artt. 29, 30 e 31 Cost., suscitando inevitabilmente, con ciò, delicati interrogativi di ordine etico» (sentenza n. 221del 2019). (sentenza 230 del 2020)

 

- vige, in Italia,  per le persone dello stesso sesso, il divieto di ricorso a tale tecnica riproduttiva (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 3 aprile 2020, n. 7668) e   «[l]’esclusione dalla Procreazione Medicalmente Assistita delle coppie formate da due donne non è […] fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale» ( sentenza n. 221 del 2019, Corte Costituzionale)

 

- è pur vero che la giurisprudenza, (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 15 giugno 2017, n. 14878 e 30 settembre 2016, n. 19599), ammette il riconoscimento in Italia di atti formati all’estero, dichiarativi del rapporto di filiazione nei confronti di “due madri”, ma, come è stato già rilevato, «[l]a circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia» (sentenza n. 221 del 2019).

 

-le fonti europee, poiché sia la Carta di Nizza sia la CEDU, in materia di famiglia, rinviano in modo esplicito alle singole legislazioni nazionali e al rispetto dei principi ivi affermati. 

 

-la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo  ha affermato in più occasioni che, nelle materie che sottendono delicate questioni di ordine etico e morale, gli Stati conservano – segnatamente quanto ai temi sui quali non si registri un generale consenso – un ampio margine di apprezzamento (tra le altre, sentenze 28 agosto 2012, Costa e Pavan contro Italia; grande camera, 3 novembre 2011, S.H. e altri contro Austria).

 

-nello stesso senso la Corte Europea Diritti dell’ Uomo  ha recentemente chiarito che gli Stati non sono tenuti a registrare i dettagli del certificato di nascita di un bambino nato attraverso la maternità surrogata all’estero per stabilire la relazione legale genitore-figlio con la madre designata: l’adozione può anche servire come mezzo per riconoscere tale relazione, purché la procedura stabilita dalla legislazione nazionale ne garantisca l’attuazione tempestiva ed efficace, nel rispetto dell’interesse superiore del minore (grande camera, parere 10 aprile 2019). 

 

-la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, il diritto del bambino è riconosciuto non già in termini assoluti, ma solo ove corrisponda al migliore interesse per il minore (best interest of the child).

 

In ragione di tali elementi giuridici la Consulta afferma l’inammissibilità della questione di costituzionalità sia per il diritto delle persone ad essere dichiarate genitori sia del minore ad avere due genitori; in particolare: 

 

“7.– Se, dunque, il riconoscimento della omogenitorialità, all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente, non è imposto dagli evocati precetti costituzionali, vero è anche che tali parametri neppure sono chiusi a soluzioni di segno diverso, in base alle valutazioni che il legislatore potrà dare alla fenomenologia considerata, non potendosi escludere la «capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali» (sentenza n. 221 del 2019).”

“Esso è, viceversa, perseguibile per via normativa, implicando una svolta che, anche e soprattutto per i contenuti etici ed assiologici che la connotano, non è costituzionalmente imposta”

 

-Circa il   vulnus che si assume arrecato all’interesse del minore, nel caso concreto in cui una delle due donne civilmente unite abbia (sia pur in violazione del divieto sub art. 5 della legge n. 40 del 2004), con il consenso dell’altra, portato a termine, all’estero, un percorso di fecondazione eterologa, da cui sia poi nato, in Italia, quel minore….la giurisprudenza ha già preso in considerazione l’interesse in questione, ammettendo l’adozione cosiddetta non legittimante in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia).  In questa chiave, «si esclude che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore possa fondarsi esclusivamente sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner, non incidendo l’orientamento sessuale della coppia sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962)» (sentenza n. 221 del 2019).

  


“Una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale, è ben possibile, ma le forme per attuarla attengono, ancora una volta, al piano delle opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore.”

 

Il giudice italiano pertanto in ragione della normativa esistente  non può dichiarare che il bambino  ha due madri.   

 

La normativa è in linea con la Costituzione e con le norme sovranazionali.

 

Ma in futuro ben può il legislatore, nella sua discrezionalità,  afferma la Consulta,  regolamentare diversamente  la materia. 

 

E non sarà semplice:  la materia dei due diritti – il diritto ad essere genitore ed il miglior interesse del minore (best interest of the child) –    «attiene all’area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre […] il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale» (sentenza n. 84 del 2016)”.

 

 



AVVENIRE - LAZIO SETTE DEL 27 SETT.2020 
NOTIZIA SULL'APERTURA DEL CENTRO DI GIUSTIZIA RIPARATIVA E MEDIAZIONE PENALE MINORILE DELLA REGIONE LAZIO ASSEGNATO AD ATS DI CUI E' CAPOFILA LA ONLUS "PER LA FAMIGLIA" CHE GESTISCE IL  CONSULTORIO FAMILIARE DIOCESANO DI LATINA



La Giustizia Riparativa - in particolare  la mediazione penale che ne è lo strumento principe  -    non è per tutti i reati e non è per tutte le persone in essi coinvolte. 


Anzi per alcuni reati è improponibile ed impercorribile ed arrecherebbe ulteriori danni e pregiudizi - si pensi ai reati di violenza contro i minori,  contro le donne per esempio -.    Comunque anche a prescindere dalla gravità del reato e dagli interessi lesi  è fondamentale il rispetto dello status della vittima. 

E' legittimo e giustificato il diniego frapposto dalle vittime  anche nei reati apparentemente lievi dovendo riscontrare - a livello esperienziale dopo anni di mediazioni penali - che la profondità del conflitto e del pregiudizio subito dal reato non dipende dal titolo di reato ma in concreto dalla persona della vittima, dal suo status  e dai pregiudizi subiti dalla condotta del reo. 


La Giustizia Riparativa è nell'interesse della vittima: l'attivazione dei percorsi, in primis la mediazione,  dipende dalla sua volontà. E volontario è l'intero percorso.


Tuttavia il tempo è variabile che può agevolare le vittime  - con il distanziamento dalla rivalsa, dalla rabbia, dal risentimento connaturati al sopruso subito – all'incontro con il reo:  abbiamo assistito a percorsi di giustizia riparativa in reati gravi; per tutti - vista la pubblica conoscenza dei reati - quelli avvenuti tra i familiari delle  vittime ed i condannati per   atti gravi di terrorismo ad anni di distanza dai fatti.

Giovanni Ricci figlio di Domenico Ricci della scorta di Aldo Moro ucciso dai terrostisti nel marzo 1978  in Via Fani  ha incontrato gli assassini del padre dopo 35 anni:

Ha conosciuto i terroristi? Sì ho incontrato Valerio Morucci, che ha ucciso mio padre. E poi Franco Bonisoli e Adriana Faranda. È successo nel 2012. Ho voluto confrontarmi con loro. La giustizia penale ti dà sicurezza della pena. Ma non cessa il tormento interno. Ho voluto un passo in avanti. Nei terroristi non ho più visto il mostro ma delle persone. Ho guardato i loro occhi, le bocche, le voci. Questo mi ha permesso di riconciliarmi col passato. Loro per uccidere avevano ridotto le vittime a oggetto. Io ho fatto il percorso inverso. Non li vedevo più come assassini ma persone.

Come è stato l’incontro con Valerio Morucci? L’ho visto piangere per il male fatto. Mi ha chiesto: «Tu sai chi sono io?». Gli ho risposto: «La tua croce è più grande della mia». Nonostante il dolore per la perdita di mio padre ho ripreso a vivere. Non sono più una vittima, sono rinato come una persona.” (Vd intervista a Giovanni Ricci su:  https://www.benecomune.net/rivista/rubriche/pensieri/il-figlio-dellautista-di-moro-cosi-ho-vinto-dolore-e-rabbia

Pasquale Lattari

(Tratto dalla prossima pubblicazione sulla Giustizia Riparativa)